2 Maggio
Dopo ieri, Festa dei lavoratori che viviamo tra piazze festose, mangerecce e militanti, cortei, e luminosi parchi per godersi il non lavoro, la Carovana si divide .Una parte della delegazione si muove per fiumi cieli e terre sulle tracce dell’acqua per re-intrecciare consolidate e nuove relazioni.
La prima meta Montevideo, Uruguay.
Ad aspettarci Carmen ed altri componenti del FFOSE (combattivo sindacato dei laboratori del servizio idrico) e della CNDAV (Comisión Nacional en Defensa del Agua y la Vida) che nel 2004 portarono al vittorioso referendum per la pubblicizzazione dei servizi idrici in Uruguay, tra i primi incoraggianti eventi insieme al rigetto della multinazionale Bechtel dalla popolazione di Cochabamba (Bolivia), per i movimenti per la difesa dell’acqua di tutto il globo.
Nella stessa mattina ci portano subito alla sede di Radio Centenario, una delle emittenti più ascoltate della metropoli, per una intervista proprio sul tema dell’acqua. Occasione che permette ai delegati del Forum Italiano dei movimenti per l’acqua e dell’European Water Movement ( Renato e Filippo ) presenti nella Carovana di condividere il quadro della situazione italiana, facendo una panoramica dalla vittoria del referendum nostrano per l’acqua pubblica fino all’attuale mobilitazione contro il DDL Concorrenza (del neoliberista e guerrafondaio attuale premier Draghi) e ed Europea su questo tema fin anche a parlare del esito finale del Forum Alternativo Mondiale per l’Acqua, tenutosi giusto qualche mese prima a Dakar in Senegal, organizzato dai movimenti per la difesa del liquido vitale, per contendere narrazioni e contenuti e fare fronte comune contro il “Foro mondiale sull’acqua”, un evento organizzato in realtà da multinazionali che operano nel settore come SUEZ o VEOLIA per provare ad ampliare la loro influenza ed il loro potere sui servizi idrici in tutto il mondo. Senza troppe sorprese l’intervista vira anche sul tema della guerra in Ucraina, situazione che preoccupa anche gli abitanti di questo lato dell’Oceano che ci chiedono più informazioni rispetto a quelle che arrivano in questo continente. Si ha allora l’opportunità di condividere anche i nostri punti di vista, il fatto che più di metà degli italiani è contro la guerra e contro la escalation tramite l’invio di armi da parte della Nato. Posizione a cui pezzi di movimento provano a dare voce con iniziative per “disarmare la pace e disertare la guerra” per provare a bucare la pericolosa cortina bellicista dei media mainatream.
A microfoni spenti ci raccontano invece di un altro recente referendum per mantenere pubblico il settore della salute che purtroppo non ha raggiunto il quorum; e chiediamo aggiornamenti sulla campana contro inquinamento causato dalle industrie della carta finlandesi UPM del Rio Santa Lucia, che tra l’altro fornisce la assoluta maggioranza dell’acqua potabile per gli abitanti del Paese. Vertenza che avevamo seguito e supportato anni addietro, e che per fortuna riesce ad essere ancora una spina nel fianco dei governi “vendi patria”, come dicono qui per cortocircuitare le loro stesse narrazioni.
Eppure a fronte di ciò ci raccontano come questi stessi Governi anche progressisti prima hanno privatizzato gli invasi ( Ley de Riego ) ed ora aggirano l’esito referendario del 2004 tramite l’affidamento ad una azienda privata la realizzazione e la gestione di un nuovo megaprogetto di potabilizzazione chiamato “Neptuno” che vorrebbe attingere all’immenso bacino del Rio de la Plata, un messaggio indiretto del governo all’industria della carta ci dice Carmen, che sembra voler dire “seguite tranquilli ad inquinare. l’acqua la prenderemo da un’altra parte”.
Questo megaprogetto Neptuno risulta essere esattamente il tema centrale dell’incontro a favor di telecamere a cui siamo invitati nel pomeriggio nella sede di un altro sindacato, l’UTE. All’approfondire il tema apprendiamo di come il progetto sia passato incostituzionalmente in sordina tra gli uffici arrivando ad una sorta di accordo preliminare senza nessuna valutazione di impatto ambientale, senza nessun coinvolgimenti dei cittadini, come prevederebbe invece la costituzione; che prevederebbe costi quadrupli rispetto ai piani di investimento per le reti idriche previste dall’OSE( azienda pubblica dell’acqua ); che non tiene sufficientemente conto della complessità di attingere da un bacino in cui scaricano acque reflue 5 nazioni diverse (con tutti i problemi di controllo che questo comporta, rispetto al Rio Santa Lucia che invece ha un decorso tutto interno al Paese) unitamente al fatto che dal delta arrivano spesso correnti di acqua salata dall’ Atlantico. Tra gli interventi spicca la contrapposizione tra la delegata nella comunità di Arazati che verrebbe dislocata dal megaprogetto e sacrificate le bianche spiagge, che la stessa comunità voleva candidare a luogo protetto e di pregio ambientale; e la presentazione di uno dei responsabili dell’OSE (in quota del progressista Frente Amplio) dall’orientamento ambivalente rispetto al progetto. Anche la nostra delegazione prende parola e lancia una esca al rappresentante dell’ente pubblico affinchè difenda con più decisione il pubblico servizio.
Il risultato finale dell’incontro è talmente positivo che la società civica si riconvoca entro 10 giorni per stabilire un piano di azioni per mettere pressione agli uffici competenti mentre per quanto riguarda noi, la delegazione riceve l’invito per partecipare ad un format mattutino su Tv Ciudad una delle emittenti più seguite della capitale.
3 maggio
Il mattino successivo ci svegliamo con un pessimo aggiornamento che ci viene dallo spezzone di carovana rimasto a Buenos Aires: Lucas Tedesco della UTT ( sindacato contadino e del commercio autorganizzato ) che solo 3 giorni prima ci aveva accolto con il sorriso sul volto e negli occhi è stato fermato dalla Polizia a Ciudad del Este nel tentativo di bloccare la repressione che stava avvenendo contro le comunità campesine che in quel momento erano intente in una azione di “retoma de tierra” e di richiesta di liberazione di un altro compagno, Felipe Suarez recentemente fermato per lo stesso motivo. Facciamo un paio di chiamate di verifica e conferma e concordiamo per scrivere un comunicato di solidarietà e complicità con la UTT e con le comunità campesine, che riusciamo a inviare prima della trasmissione televisiva.
Negli studi televisivi della TV più vista di Montevideo il presentatore è estremamente accondiscendente con la nostra narrazione e sembra recitare già come se fosse in diretta, salvo poi non concordare nessuna domanda e farci domande innocue quando non insidiose, soprattutto quella sul nostro giudizio tecnico circa il progetto Neptuno, che non ci sentiamo di affrontare da stranieri, nei veloci tempi televisivi e con la sola preparazione dell’incontro informativo nei ieri. Insistiamo allora sulla questione dell’importanza della partecipazione civica a qualsivoglia pianificazione statale. Passaggio quest’ultimo, che è stato oggettivamente ed incostituzionalmente saltato. Per ribadire il concetto terminiamo l’intervista ricorrendo ad uno dei sempre validi slogan della felice campagna referendaria Italiana per l’acqua pubblica del 2011: “Si scrive Acqua, si legge Democrazia”. Nel pomeriggio andiamo a San Jose, capoluogo dell’omonima provincia, per supportare insieme al FFOSE, la conferenza stampa della comunità di Arazati che denuncia anche in quella sede quanto governo e privati stiano provando a fare, tenendo all’oscuro l’intero Paese. A fine giornata è già ora di ripartire, prossima tappa Cordoba. Abbracciamo e ringraziamo Carmen, Nelson, Sofia, Carlos e le sue bambine che ci lasciano al Porto e salutiamo anche questa terra “uruguasha” in cui sempre troviamo mutuo scambio e appoggio.
4 Maggio
Dopo 8 giorni di attività serrate abbiamo finalmente un giorno in cui tirare il fiato e godersi senza orari questa città che per alcuni componenti della carovana è del tutto nuovo.
Passiamo buona parte della giornata camminando, osservando, ascoltando. Gli accenti della lingua qui sono diversi dalla Capitale. Molto più simili nel timbro a quelli andini, dicono chi del gruppo ha avuto esperienze precedenti sulla Cordillera. Lo stesso vale anche per i volti, la cui mescolanza nei connotati si allontana da quelli porteñi (più europei), che presentano sfumature andine e quelle, scopriremo nei giorni successivi, degli afro-discendenti. La città sembra più a misura d’uomo, anche se il traffico è paradossalmente più serrato nelle strette “quadras”, del centro. Abbiamo anche un assaggio dell’ambiente “serrano” di questa regione con calde giornate polverose e notti con una sensibile escursione termica.
5 Maggio
Il mattino parte presto e andiamo a Carlos Paz, la strada comincia a salire verso le Sierras Cichas a Ovest di Cordoba, tra i rilievi di quarzi e basalti coperti da brulla vegetazione, fino a scavalcarle per entrare nella porzione meridionale della “Valle de Punilla”. A questo punto la strada comincia a scendere disvelando dopo qualche curva, in basso, il lago artificiale di San Roque e sullo sfondo, las Sierras Grandes.
Ad accoglierci all’arrivo troviamo Emilio, medico e ricercatore indipendente in salute pubblica e Inti Wamani, che ci racconterà poi essere stato tra i fondatori della prima rete delle comunità indigene argentine, l’AIRA (Asociación Indígena de la República Argentina). Il primo, da cui ci è arrivato l’invito per conoscere la vertenza idrica di questa regione, ci racconta meglio il contesto sociale e ambientale del luogo degli ultimi anni; il secondo, complementa il quadro spiegandoci la storia del luogo, abitato sin dai tempi ancestrali dalle popolazioni indigene dei “Comechingones” che, tra le altre cose, aveva sviluppato anche un proprio sistema idrico. Qui alla convergenza di quattro fiumi nella seconda metà dell’800 fu deciso di creare lo sbarramento delle acque con il duplice scopo di regolare il flusso delle acque che ciclicamente inondavano Cordoba e di creare un sito di accumulo ed approvvigionamento di acqua per il consumo umano, per la capitale regionale. Con queste necessità nacque il lago di San Roque.
Il primo appuntamento qui è nelle sale di registrazione di “Radio Coopi”, emittente della omonima cooperativa che prima gestiva in maniera partecipata-pubblica diversi servizi, tra cui quello idrico e quello idroelettrico dell’invaso.
Qui, oltre a intervistarci per condividere la situazione italiana ed europea sulla questione idrica, spiegano al microfono come attualmente l’impianto idroelettrico sia fermo per “motivi di libero mercato” per cui i governi a tutti i livelli sono orientati all’acquisto quasi integrale dell’energia da altri paesi dismettendo gli impianti propri e della preoccupante situazione circa il rischio sanitario costituito dalle attuali condizioni delle acque del lago. Infatti, qui le lobby del mattone e del turismo locali e regionali, hanno fatto carte false per approfittare del potenziale ricreativo del lago trasformando in pochi anni il circondario in un complesso turistico-residenziale da 100mila abitanti di media ma che può triplicare la propria presenza antropica nei momenti di alta stagione, questo in assenza di una infrastruttura di sanamento delle acque reflue. Risultato? Negli ultimi anni il livello dei cianobatteri ha colonizzato la maggior parte della superficie del lago con conseguenze drastiche per l’ecosistema del lago e per la totalità dei 2 milioni di utenti riforniti dalla rete idrica che usano quelle acque quotidianamente per vivere (quella stessa acqua che abbiamo bevuto, con cui ci siamo lavati ed abbiamo cucinato il giorno prima, pensiamo noi telepaticamente incrociando gli sguardi sopra le mascherine chirurgiche).
Nel 2017 i cianobatteri avevano raggiunto uno dei massimi picchi di concentrazione formando uno strato melmoso verde di 30 centimetri, la cui superficie era diventato terreno di coltura a sua volta di altri batteri creando chiazze azzurro iridescente, ricordano ai radioascoltatori (mentre a noi mostrano le foto reperibili in internet). “Forse sarà piaciuto ai signori del turismo come sfondo per le cartoline” ironizzano. Il fatto è che per non compromettere gli affari nel breve termine, per non perdere neanche un centesimo di questo fast-business del turismo di consumo, da investire nella messa in sicurezza delle reti idriche, il governo comunale (in continuità con la lobby turistica) preferisce provare a silenziare chi come Emilio e Inti stanno provando a dare visibilità al pericolo.
Il lago di San Roque è la destinazione successiva quando usciamo dalla radio. L’odore nauseabondo si sente già a 300 metri dalla riva e sul posto troviamo operai che stanno aspirando con le autobotti i cianobatteri che poi ci dice Emilio, “non si sa con precisione dove e come la stanno smaltendo”. In più l’”occhio medico” della nostra delegazione si domanda se sia sicuro che gli operai siano esposti per ore ed ore di lavoro al contatto con i cianobatteri senza mascherine ed in maniche corte. Emilio annuisce e ci conferma che i risultati della sua ricerca indipendente non sono per niente incoraggianti, ma che investire in formazione degli operatori e provvedere a rendere disponibili adeguati presidi protettivi vorrebbe dire costi anche minimi che la mentalità capitalista di chi comanda non è disposta a sostenere.
Noi invece abbiamo la conferma della generosità del duo che ci sta accompagnando a pranzo e nel primo pomeriggio quando a casa della famiglia di Emilio ci preparano un pranzo semplice ma che ci alimenta ben oltre la sostanza fisica. Da questo angolo di valle si vedono le cime de Los Gigantes, uno dei massicci della Sierra Alta da dove nasce il rio “Chorrillo”, sulle quali sponde Emilio è cresciuto e che rimane ancora incontaminato prima di gettarsi nel lago e che dopo pranzo ci offre di andare a visitare con un breve passeggiata. Cogliamo anche questo invito al volo e scendiamo lungo una stradina sterrata tra arbusti spontanei di maracuja, gli spinillos, i chanares, i quebranchos, le talas, i molles (l’albero al quale va sempre chiesto il permesso per fare la siesta sotto la sua ombra secondo la leggenda), algarrobos (l’albero della vita, per le popolazioni indigene locali), nelle loro vestigia tipica dell’autunno australe. Il Chorrillo è un incanto, ci bastano pochi minuti per sentirci rinvigoritǝ dalla mattinata intensa. Al ritorno Inti decide di farci stare più larghi in auto e ci saluta prendendo la strada della via a piedi. Si allontana fischiettando e lo vediamo svoltare dietro i cespugli del sentiero. Dopo qualche secondo, percorriamo la stessa strada in auto e ci disposiamo per salutarlo un’ultima volta dai finestrini, ma di lui non c’è più nessuna traccia. Da quella stessa direzione invece si alza in aria e ci sorvola a distanza ravvicinata un’aquila della sierra.
6 maggio Cordoba
Questa mattina ci viene a prendere Cecilia Carrizo, docente di scienze politiche all’Univerità di Cordoba e attivista in molti ambiti delle vertenze cordobesi ed infatti in macchina è un fiume di informazioni sulle questioni della regione e dell’intera nazione, in una mole che sarebbe impossibile riportarle tutte a caldo.
Le tracce dell’acqua oggi incrociano la questione della terra e dell’agricoltura. Infatti il tema del dibattito pubblico difronte agli uffici dell’università è per allertare circa la strategia delle multinazionali dell’agrochimica che stanno cercando di patteggiare con le realtà che fanno agroecologia sostanzialmente per proporre un accordo in cui nel paese possano convivere queste due concezioni del mondo, quella latifondo-capitalista con quella eco-cooperativista emergente, accordo auspicato ovviamente dai settori statali conniventi e da buona parte della burocrazia accademica. Una dinamica senza precedenti per le nostre orecchie che ci lascia abbastanza sorpresi. L’incontro nasce anche per solidarizzare con quegli spezzoni di Università che si sono azzardati a svelare questo rischio e che per questo sono stati minacciati. Ricercatorǝ, persone come Juan, che prende parola e ripete davanti a tuttǝ la denuncia circa questo tentativo di legittimazione dei latifondisti dell’agrotossico e le minacce che gli è toccato subire pubblicamente (ovvero in una assemblea plenaria) dentro l’università.
Latifondisti che a Cordoba hanno avuto modo fino al 2008 di spingere il loro sistema agrotossico fatto di monocolture, consumo di acqua senza limiti, diserbanti, fumigazioni, cancro, malformazioni genetiche, malattie rare e senza precedenti, fino ai margini della metropoli. Per chi si stesse chiedendo a cosa sia dovuto l’arresto di questa dinamica, riportiamo che sarebbe meglio chiedersi grazie a chi. Ed a noi carovanierǝ questa volta invece non sorprende scoprire, dalle parole di Isabela, che non è per grazia ricevuta da qualsivoglia potere che questa situazione disumana è stata fermata, ma bensì che è grazie alla lotta delle donne del quartiere periferico di Ituzaingó, anche loro “Madres”. Le “Madres de Ituzaingó” si solo sollevate in protesta apertamente e collettivamente dal 2001, dopo aver unito i puntini dello stesso doloroso quadro di incremento di morti e malattie rare e incurabili nel loro barrio e che componevano l’immagine dello stesso colpevole: la nota multinazionale Monsanto (oggi un pezzo della Bayer).
Oggi sono qui per ricordare che significa legittimare il sistema agroindustriale nei territori, loro, le cui famiglie ancora soffrono le conseguenze di certe autorizzazioni governative e del mondo accademico affiliato e per denunciare nuovamente in piazza come giustizia non sia ancora stata fatta per le loro famiglie e di come i colpevoli non abbiano ancora pagato per le loro condizioni di salute, per il loro dolore, per le loro vite spezzate.
La sera partecipiamo al conversatorio “Artes, Ciencias, Patrocinios y Extractivismos” in cui troviamo uno sforzo divulgativo di inchiesta dal basso veramente esplicativo. Una azione comunicativa di quelle ispiranti, che ci richiama alla mente analoghe dinamiche del nostro paese come le abbiamo viste per grandi opere come la Tav in Val di Susa, oppure le call artistiche nella cave di marmo sulle Alpi Apuane, oppure tutte quelle volte in cui le grandi aziende fossili come Eni o multiutility come Acea provano a spennelare di verde o di blu le loro attività inquinanti, estrattive, di saccheggio, con la pericolosa aggravante che queste ultime provano ad accreditarsi anche come enti formativi.. un fronte sul quale nelle nostre geografie, siamo solo all’inizio del “combate”.
7 maggio
Sabato è l’ultimo giorno collettivo di questa Caravana 2022.. tratteniamo le lacrime (quasi tutte, qualcuna ci scappa) per i saluti finali. Da adesso, qualcuno tornerà in italia qualcuno si fermerà per proprio conto per qualche giorno in più che sia ancora di impegno politico o di vacanza.
Un cielo al reves.. un frase che apre a molteplici sensi.. ci vorrà del tempo per elaborare il viaggio, ma qualche conclusione ci sentiamo già di poterla condividere.
Siamo tornatǝ sotto i cieli del “Sur” per contaminarci.. e siamo statǝ contagio internazionalista solidario.
Un cielo al reves.. ma guardando il cielo non ha piovuto per l’intera durata della carovana.. il cambio climatico non fa sconti neanche al continente latino-americano..
Siamo statǝ noi le goccioline, come tutte le esperienze in lotta che abbiamo conosciuto dalla grande voglia di condensare collettivamente, contro la tirannia globale del necrocapitalismo, per riguardarci il nostro posto in cielo e riconciliarci finalmente in modo ciclico, abbondante, generoso, fecondo, fertile, vitale, rispettoso, creativo con la terra.
Filippo – Caravana Kabawil 2022